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Sterilizzazione di massa delle donne uigure: il PCC commette un nuovo crimine contro l’umanità

01/07/2020Ruth Ingram |

Un nuovo studio di Adrian Zenz dimostra che le donne musulmane dello Xinjiang sono costrette all’aborto, alla sterilizzazione, all’uso di dispositivi contraccettivi intrauterini

di Ruth Ingram

Zenz

All’elenco dei crimini contro l’umanità che il PCC infligge agli uiguri nel nord ovest della Cina, si può ora aggiungere la sterilizzazione di massa. I dati sorprendenti relativi ai tassi di natalità in caduta libera e le misure draconiane di controllo delle nascite applicate nello Xinjiang meridionale, rivelati questa settimana in un lavoro pubblicato da The Jamestown Foundation da Adrian Zenz, studioso e cronista delle atrocità commesse da Pechino nella regione uigura, sono la prova inconfutabile dei piani del PCC per devastare senza pietà la popolazione uigura nel suo cuore pulsante.

Secondo le rivelazioni di Zenz, che ha attinto scrupolosamente ai siti web del governo cinese, accessibili al pubblico, la crescita della popolazione dello Xinjiang meridionale ha registrato un crollo a precipizio pari al 90% fra il 2013/2014 e il 2019.

I dati illustrano un declino drammatico
I dati illustrano un declino drammatico della popolazione (fonte: Adrian Zenz/The Jamestown Foundation)

I dati inoltre illustrano un declino drammatico della popolazione non solo dello Xinjiang in generale, ma in modo particolare di Hotan e Kashgar, il cuore della terra natale uigura meridionale.

Il dato è non solo più basso di quelli dello Xinjiang in generale, ma si colloca decisamente al di sotto della media nazionale della Cina, influenzata per quarant’anni dalla politica del figlio unico. Dato che un ammorbidimento di tale politica ha concesso agli uiguri di mettere al mondo due, talvolta tre figli, fra il 2005 e il 2015, nelle zone di Hotan e Kashgar sono nati più bambini rispetto allo Xinjiang nel suo complesso e in confronto al resto della Cina. Una volta avviata la raccolta di massa nei cosiddetti «campi di formazione professionale», cioè i campi per la trasformazione attraverso l’educazione, nel 2016, i dati del tasso di natalità hanno iniziato a scendere, ma il crollo repentino fra il 2018 e il 2019 è stato allarmante e richiede secondo Zenz analisi ulteriori. «La sola questione dell’internamento non può giustificarlo», afferma lo studioso.

Ulteriori analisi dei dati lo hanno portato alla scoperta inquietante del fatto che, nel 2019, è partito un programma mostruoso per la sterilizzazione di un ampio numero di donne uigure nelle città di Goma e di Hotan, al margine più a sud del deserto del Taklamakan. Zenz è rimasto sconvolto scoprendo un tetro dato di fatto, cioè che durante questo periodo gli interventi di sterilizzazione sono stati 143 volte la media nazionale. Nella zona, dove tali procedure sono sempre state poco frequenti e ben al di sotto del tasso nazionale, il grafico improvvisamente si è impennato. Zenz ha iniziato a notare un picco nei numeri del 2016, ma i dati del 2019 forniti dal governo arrivavano alle stelle. «Ciò spiega la diminuzione drammatica della crescita della popolazione in un solo anno, fra il 2018 e il 2019», ha affermato lo studioso. «È scioccante».

I dati dimostrano come già fra il 2016 e il 2018
I dati dimostrano come già fra il 2016 e il 2018 nello Xinjiang il numero delle sterilizzazioni ogni 100mila abitanti ha preso a salire rapidamente, in confronto a quello rilevato a livello nazionale (fonte: Adrian Zenz/The Jamestown Foundation)

In base ai dati rivelati da Zenz, in un solo anno è stata programmata la sterilizzazione di una percentuale che va dal 14 al 34% di tutte le donne sposate in età fertile. «In sostanza, ogni donna con più di tre figli sarebbe stata sterilizzata», ha affermato il ricercatore, aggiungendo che i funzionari dovevano assicurare di eseguire gli ordini del governo per completare il piano «a meno di non volersi trovare in grossi guai».

Le sterilizzazioni compiute
Le sterilizzazioni compiute nelle città di Hotan e Pishan, aumentate nella sconvolgente misura di 148 volte rispetto al resto della Cina in un solo anno (fonte: Adrian Zenz/The Jamestown Foundation)

L’obiettivo finale era che l’80% delle donne fossero sterilizzate oppure dotate di un dispositivo contraccettivo intrauterino (IUD), sottoposte a controlli trimestrali, con la salvaguardia ulteriore di test di gravidanza da effettuarsi ogni due mesi. «Per il regime, ciò diventa come un rubinetto, che può essere aperto o chiuso», ha dichiarato sarcasticamente Zenz.

Queste rivelazioni sono seguite repentinamente a una serie di scandali che hanno reso pubblico il piano generale del presidente Xi Jinping per quanto riguarda la popolazione uigura. Dapprima è stata la volta dei China Cables, trapelati nel 2019, che descrivevano il funzionamento interno dei campi di detenzione, dove sono rinchiusi oltre un milione di musulmani della minoranza etnica. Poi, a febbraio, è giunta la lista Karakax , a dettagliare minuziosamente il destino di un gruppo di 2.802 abitanti di Karakax e i cosiddetti “crimini” che avrebbero commesso e che ne hanno comportato il carcere e la “rieducazione”. 150 di costoro hanno violato le politiche di controllo delle nascite e altri sono stati coinvolti in “reati” quali indossare gonne lunghe, sfoggiare una barba “insolita” o avere in casa testi scritti in arabo.

Madri e bambini
Madri e bambini nel bazar di Hotan nel 2018. In secondo piano, la “milizia territoriale” in stato di allerta elevata più volte al giorno, secondo gli ordini del governo (fotografia di Ruth Ingram)

In marzo, poi, gli uiguri sono stati mandati sulla prima linea del CoViD-19 a riaprire le fabbriche delle zone interne della Cina e ora, come ha riportato Bitter Winter in aprile e in maggio, vengono inviati a decine di migliaia dai campi di internamento alle fabbriche sparse per lo Xinjiang e per tutto il Paese per produrre beni per i marchi occidentali, in condizioni paragonabili al lavoro degli schiavi.

Nel 2017 Xi Jinping ha promesso che in Cina la povertà sarebbe stata eliminata entro il 2020. Con il pretesto delle ultime iniziative per la «riduzione della povertà», gli uiguri sono stati reclutati come mai in precedenza per lavorare per i datori di lavoro di etnia han nelle fabbriche del Paese, mentre al tempo stesso nella madrepatria divengono le prede di una spinta alla sinizzazione che ha ridotto l’osservanza religiosa a zero, le moschee in rovine o in laboratori di sartoria, la lingua e la letteratura a un pittoresco relitto del passato e l’intera cultura a un teatrino per il turismo.

Secondo quanto affermato da Zenz durante la presentazione del piano generale complessivo del PCC in merito agli uiguri, in novembre, davanti alla Congressional-Executive Commission on China degli Stati Uniti d’America (CECC), il fine è il controllo sociale totale. L’obiettivo è che ogni singolo uiguro sia monitorato dalla culla alla tomba, sia che si trovi in un orfanotrofio statale mentre i genitori sono rinchiusi in un campo, sia all’asilo nido mentre le madri sono «libere» di lavorare in fabbriche appositamente costruite nelle vicinanze del campo di internamento o del villaggio; sia che sia chiuso in un campo di trasformazione attraverso l’educazione, vale a dire un campo di internamento o di rieducazione, sia che venga “rilasciato” per essere destinato a una fabbrica ove produrre beni per il mercato occidentale, oppure in una casa di riposo di qualche tipo. Ciascuno è su un elenco. Nello schema ideato dal regime e conosciuto come «riduzione della povertà definita nei dettagli», vengono costruiti villaggi nuovi di zecca con fabbriche in loco. I villaggi con abitazioni sparse e non controllabili saranno sempre meno e viene profuso ogni sforzo per fare a pezzi non solo la famiglia estesa, ma addirittura la famiglia mononucleare.

Bambini nello Xinjiang: ne vedremo ancora?
(fotografia di Ruth Ingram)
Bambini nello Xinjiang
Bambini nello Xinjiang: ne vedremo ancora? (fotografia di Ruth Ingram)

Il rapporto di Zenz è un altro invito da aggiungere alle deboli voci degli uiguri stessi, affinché il mondo si levi e si opponga al governo comunista cinese. In aprile gli uiguri in esilio hanno lanciato su Twitter la campagna “#Can you hear me?” («Riesci a sentirmi?»): con l’immagine di un proprio caro davanti all’obiettivo fotografico, chiedendo che fine abbia fatto. Solitamente non risponde, ma a volte per ritorsione il regime cinese manda in onda documentari di propaganda dove si vede il parente che viene definito scomparso vivere invece sereno e felice. Ovviamente, non appena terminano le riprese, quel parente viene riportato nei campi per la trasformazione attraverso l’educazione.

Zenz è amareggiato dal fatto che a così tanti Paesi in via di sviluppo sia stata messa la museruola attraverso una diplomazia condizionata dal debito, ma anche dal fatto che persino i Paesi europei e l’Unione Europea stessa, senza debiti con la Cina, indugiano a farsi sentire. Il PCC bolla chi osa parlare come spacciatore di fake news e coinvolge le principali istituzioni internazionali, quali le Nazioni Unite, l’OIC (l’Organizzazione per la cooperazione islamica) e l’OMS nella sua azione di insabbiamento. Qualche speranza, tuttavia, è riposta nella nuova Inter-Parliamentary Alliance on China, che ha denunciato immediatamente la sterilizzazione forzata delle donne uigure.

D’altro canto la propaganda del PCC è imponente e sviare le responsabilità a proposito del coronavirus è stato il colpo da maestro definitivo, una storia di successo per indicare al mondo la Cina come modello da emulare e un’occasione per la Cina stessa di trarre profitto dalla disastrosa pandemia.

Dai campi di internamento sono emerse storie personali di inserimenti forzati di dispositivi contraccettivi intrauterini e di iniezioni misteriose, che in alcuni casi hanno portato alla sterilità. Le donne sono sottoposte a test di gravidanza regolari, come afferma Zenz, e sono innumerevoli quelle che hanno denunciato aborti forzati.

Nessuna delle donne con cui Bitter Winter ha parlato è rimasta sorpresa dai dati che riguardano le sterilizzazioni. «Questa è la prova, casomai ve ne fosse bisogno, che nello Xinjiang è in atto un genocidio», afferma Mehrigul, una rifugiata uigura che vive a Istanbul. «Il regime è deciso a spazzare via noi e la nostra cultura», ha detto Aigul, anch’ella ora in Turchia, costretta a fuggire lasciandosi dietro la figlia di sette anni. «Avevo già avuto tre figli quando sono rimasta incinta di lei», ha raccontato la donna, disperata, mentre stringeva fra le dita l’unica foto della bambina che le sia rimasta. «Pur di non abortire sono scappata con i miei familiari in un villaggio lontano per metterla al mondo. Sono tornata con la neonata e ho dichiarato che era figlia di mia sorella», ha aggiunto, dicendo che si tratta di una pratica diffusa fra le donne che hanno troppi figli. Ma non è stato possibile registrare la bambina. «Non saremmo mai riusciti a registrarla e a legalizzare la sua posizione», ha raccontato. «Senza un documento di identità non avrebbe potuto frequentare la scuola e mai avrebbe ottenuto un passaporto», piangeva la donna, spiegando che l’ultima cosa che aveva sentito, era che sua figlia era stata portata via da alcuni funzionari e condotta in un orfanotrofio del Partito.

Bambini uiguri nello Xinjiang
(fotografia di Ruth Ingram)
Bambini uiguri nello Xinjiang
Bambini uiguri nello Xinjiang: chi potrebbe parlare per loro? (fotografia di Ruth Ingram)

Con chiunque Bitter Winter abbia parlato nello Xinjiang meridionale, le storie narrate sono ricche di racconti delle misure severe impiegate dal PCC per tenere sotto controllo le nascite. Le contadine che vivono nei villaggi vengono regolarmente ammassate negli ospedali per i test di gravidanza e hanno convissuto per anni con il genocidio silenzioso degli aborti forzati. A Hotan, un medico che ha parlato con Bitter Winter in forma anonima e che si è rifiutato di permettere l’aborto del suo quarto figlio, ha affermato di vivere nella paura che il bambino sia scoperto. Lui e la moglie rabbrividiscono per il terrore a ogni controllo della polizia quando il piccolo è con loro, pregando che non vi siano domande. Gli è stato detto che se il segreto saltasse fuori la sua clinica verrebbe chiusa, il bambino portato via e lui stesso mandato in “rieducazione”. È contento che ora il mondo possa sapere cosa sta accadendo esattamente.

Contrassegnato con: Diritti umani, Musulmani Uiguri

Ruth Ingram

Ruth Ingram, ricercatrice, collabora assiduamente a varie testate, fra cui il sito dell’Institute of War and Peace Reporting (la principale pubblicazione su Asia Centrale e Caucaso), Guardian Weekly e The Diplomat.

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